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Il 24 febbraio 2022, poco prima dell’alba, le forze armate russe davano inizio all’invasione dell’Ucraina mentre un intenso attacco dal cielo a base di missili e bombardamenti si scatenava sulla capitale Kiev. Il presidente russo Vladimir Putin disse che non si trattava di una guerra bensì di un’”operazione militare speciale”, tesa a “denazificare e smilitarizzare l’Ucraina”. La reazione immediata delle forze armate ucraine e del presidente Volodomir Zelensky, riuscì però a respingere l’invasione e oggi, tre anni esatti più tardi, l’apparato bellico russo è ancora alle prese con una campagna militare che, dopo 1096 giorni, è ancora sostanzialmente in stallo anche grazie ai cospicui aiuti, finanziari e militari che Europa e Stati Uniti hanno inviato all’Ucraina. Ma la seconda irruzione sulla scena internazionale di Donald Trump e del suo atteggiamento decisionistico, sembra aver decisamente rimescolato le carte.

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Non è possibile che tutti i rappresentanti del mondo non riescano a fermare un uomo?” Questo interrogativo posto con grammatica claudicante, era comparso qualche settimana dopo l’inizio della “operazione militare speciale.” La domanda era apparsa in un social molto frequentato, sulla cresta delle prime, tumultuose ondate massmediatiche che da tre anni ormai fanno il giro del mondo.

Ma oggi le cronache, parlano anche di un’altra guerra, se possibile ancor più crudele, e riferiscono della morte di almeno 40mila persone nella striscia di Gaza e nel territorio circostante, a causa del conflitto israelo palestinese. Un conflitto scatenato a partire dal 7 ottobre 2023 quando alcun gruppi armati di Hamas penetrarono in territorio israeliano uccidendo circa 1200 persone e portando con sé 250 ostaggi. Gli ultimi sviluppi degli eventi non inducono a considerazioni ottimistiche. Le trattative fra le parti sono prossime allo stallo con il sempre più complicato rilascio degli ostaggi israeliani in cambio della liberazione di prigionieri palestinesi. E Netanyahu afferma di essere “pronto alla guerra” mentre la sospensione della scarcerazione dei detenuti palestinesi fa il paio con le macabre sceneggiate di Hamas durante la consegna degli ostaggi. Intanto i tanks con la stella di David entrano in Cisgiordania costringendo 40mila persone ad evacuare il campo profughi di Jenin e inducendo Hamas a fare la voce grossa, minacciando l’abbandono delle trattative in corso. A consolidare questa fragilissima tregua, armata e sempre più incerta, non aiutano certo le dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano Israel Katz secondo il quale nessun palestinese potrà tornare a casa. In questa direzione si muovono anche le parole del premier israeliano Nietanyahu che si dice “pronto alla guerra” mentre contemporaneamente i jet di Tel Aviv sorvolano a bassa quota lo stadio di Beirut durante i funerali del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ucciso cinque mesi fa durante un bombardamento israeliano.

Anche la soluzione dell’altro conflitto che vede contrapposti Kiev e Mosca appare complessa. Gli eventi bellici in Ucraina si sono trasformati da “operazione militare speciale”, secondo l’eufemistica e ormai ridicola espressione putiniana, in vera e propria guerra totale. Una guerra che ha già mietuto centinaia di migliaia di vittime su entrambi i fronti.

La risposta alla domanda riportata all’inizio è comunque semplice: sì, è possibile che nessuno riesca a fermare lo sviluppo e il proseguimento della guerra, almeno per quanto riguarda alcuni dei suoi effetti. Certo l’irruzione esplosiva sulla scena internazionale di Donald Trump potrebbe avere fra i suoi effetti anche la conclusione delle operazioni militari in Ucraina. Ma è necessario chiedersi a quali condizioni, a quale prezzo. Per Kiev e per l’intera Europa. Le prime sortite trumpiane indicano un’azione “diplomatica” più simile ad una sorta di ricatto in materia di “terre rare” (litio, soprattutto, di cui l’Ucraina è ricca) che a un intervento mirato all’apertura di una trattativa fra Mosca e Kiev (ovviamente sotto l’ingombrante “patrocinio” dell’inquilino della Casa bianca) e al conseguimento di una pace giusta e permanente. Un do ut des gravemente sbilanciato in favore del proponente, che non nasconde l’intento di “parlare” con Kiev in assenza di un’incerta e sempre più dispersa Europa.

Indicazione importante sui possibili e probabili sviluppi di questa intricatissima situazione è fornita dal frenetico attivismo di un Elon Musk in gran forma, la cui potenza di fuoco, in termini tecnologici, gli ha consentito di entrare a gamba tesa (il tecnocratico patron di Tesla e Space X fa il suo mestiere) nello scacchiere europeo salendo a bordo degli aeromobili della compagnia lettone AirBaltic. Sugli Airbus di AirBaltic, infatti, è attivo dal 21 febbraio il servizio gratuito di connettività per internet ad alta velocità fornito dalla rete satellitare Starlink di Elon Musk. Proprio quella alla quale, pare, vorrebbe “agganciarsi”, certo non gratuitamente, l’Italia del governo Meloni. Proprio Starlink potrebbe costituire un potentissimo strumento di pressione su Kiev nel caso Zelensky non chinasse il capo ai “suggerimenti” trumpiani. Se l’accoppiata Trump – Musk decidesse di spegnere i collegamenti satellitari, le comunicazioni militari (e non solo quelle) ucraine subirebbero un colpo mortale costringendo Kiev ad arrendersi nel giro di pochi giorni ai carri armati di Mosca. Insomma al “comico” Zelensky, così facendo Trump concederebbe ampia facoltà di scelta: indicare l’albero al quale impiccarsi. Il tycoon potrebbe tecnicamente sostenere così di aver mantenuto la promessa di far cessare la guerra fra Russia e Ucraina. In tal caso sarebbe forse giustificato ricordare il motto tacitiano: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” (“dove fanno una desolazione la chiamano pace”)

L’umanità, dunque, è bravissima nel fare la guerra ma non sembra dotata della stessa abilità nel farla cessare. Fra le cause profonde di questa incapacità di fare e “vedere” la pace figura quella che, con termine ormai ubiquo, viene definita globalizzazione. Un fenomeno forse irreversibile che sta da molti decenni manifestandosi su scala planetaria. Irreversibile perché, temo, impossibile da governare dal momento che all’origine di questo processo non c’è un disegno comprensibile o un progetto opera dell’uomo, bensì una sorta di principio naturale che agisce a nostra quasi totale insaputa e che sta con sempre maggiore evidenza marginalizzando il ruolo attivo della specie homo sapiens sapiens in favore di una tecnicizzazione, in costante espansione e accelerazione, del mondo. Sotto questo punto di vista il matrimonio tecno – politico fra Donald Trump ed Elon Musk, appare estremamente significativo. Ascoltate l’inascoltata voce del filosofo e scrittore Günter Anders, allievo di Heidegger e Husserl, marito di quella Annah Arendt che denunciò “La banalità del male” emersa al processo di Norimberga dopo la tragedia epocale della Shoa. Scrive Anders che l’uomo ormai intriso soltanto di “illuministica” razionalità, è sottoposto a una “…legge senza legislatore, ossia una legge non sanzionata, che esisteva semplicemente, che, per quanto «ferrea», era senza ragione né sostegno, cioè la legge della natura” (G. Anders: “L’uomo è antiquato”; Universale Bollati Boringhieri. Vol. 1, pgg. 3320).

Il salto dalla geopolitica alla filosofia è forse necessario per la comprensione degli eventi. Soffriamo, in quanto esseri umani, di una specie di obsolescenza programmata dalla Tecnica, ormai pervasiva su scala planetaria. Ricordate? L’ebreo barbuto di Treviri la chiamava “legge del capitale”; Emanuele Severino la definiva semplicemente “Tecnica”, dove l’inziale maiuscola sottolinea l’assoluta pervasività del concetto. In entrambi i casi si assiste ad un fenomeno sempre più veloce di autopotenziamento il cui obiettivo coincide con il puro e semplice incremento autoreferenziale dell’efficienza strumentale, in un ciclo continuo compulsivamente ottuso e privo di orizzonti umani. L’escalation della contesa bellica in Ucraina e la guerra in Medio oriente sono ormai diventate un dialogo tra sordi che solo le armi (la Tecnica) sembrano in grado di condurre mentre la diplomazia snervata dei “colloqui” appare relegata sempre più su uno sfondo di incerta decifrabilità. Stiamo diventando puri strumenti di un sistema globale che non siamo già più in grado di gestire in termini progettuali politicamente efficaci? Ricordate la favola dell’apprendista stregone? Ecco, sta forse succedendo qualche cosa del genere. La Tecnica, con la sua ancella, la tecnologia, sta per prendere possesso del mondo che inutilmente (per gli “scopi” della Tecnica) abitiamo.

La potenza di questo sistema distopico è in continuo incremento. Abbiamo decapitato le ideologie sotto gli sguardi opachi di stupide tricoteuses della geo politica non solo internazionale. Ora non abbiamo più strumenti che ci consentano di progettare nuove strutture sociali, politiche, culturali. Questa è la globalizzazione: un fatto, non un atto prodotto dalla razionalità umana per edificare le nostre “magnifiche sorti e progressive”. Un atto che ci sta già seppellendo perché abbiamo perso ogni possibile bussola morale ma soprattutto etica. Non ci stupiscono ormai i più clamorosi paradossi. Come l’accusa rivolta a Kiev dall’egocrate del Cremlino, qualche mese dopo l’inizio dell’invasione, che stigmatizzava alcune “aggressioni militari” ucraine in violazione dei sacri confini della grande madre Russia. Tecnicamente, cioè decontestualizzando proprio come fa la Tecnica nei confronti dell’umanità che l’ha prodotta, Il bullo di Mosca aveva perfettamente ragione. Tecnicamente, appunto.

ELIO SPADA

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