Dazi amari per (quasi) tutti. Trump ha agito con irrevocabile decisione. Un diktat di evidente impronta protezionistica che ha mandato in fibrillazione l’economia planetaria. Anche i pinguini e le foche delle disabitate isole Heard e McDonald stanno soffrendo la pressione tariffaria imposta dal biondocrinito inquilino della White house. Non hanno, invece, motivi di sofferenza la Corea del Nord e San Marino.
Proprio così: l’impulso daziomaniacale trumpiano ha risparmiato il bulimico dittatore Kim Jong-Un e la Rocca adriatica. Verso la quale si è aperta una vera e propria corsa al “paradiso fiscale”, da parte di numerose aziende italiane, per aprire nella piccola repubblica una sede legale ed evitare così le gabelle imposte dall’Amministrazione Usa. Insomma, il presidente del Maga sta attivamente operando per mettere in riga il pianeta e la globalizzazione che lo opprime. Tutto ciò fra molti sussulti di terrore e qualche rapidissima e inattesa retromarcia.
La granitica determinazione trumpista è durata appena otto giorni. Tre giorni fa è arrivata la retromarcia: “Contrordine compagni. I dazi vengono prorogati da tre mesi”. Però rimangono intatti (siamo attorno al 145%) per le importazioni dall’ex Celeste impero. Ma Apple ha dichiarato che il prossimo IPhone non sarà prodotto in Cina. Così lo zazzeruto tycoon ha acrobaticamente effettuato un nuovo salto mortale carpiato rovesciato: niente balzelli per pc, microchip e soprattutto iPhone che, come hanno spiegato a Trump qualche giorno fa, non vengono prodotti nella Silicon valley ma a Zhengzhou.
Il mondo, un tempo palcoscenico del libero scambio, si è dunque improvvisamente trovato in balìa di un mare sconvolto da enormi cavalloni a base di metalli tassati e soia contesa, mentre le navi cargo o restano ferme lungo le banchine o si muovono come improbabili ballerine tra un dazio e l’altro.
Però nel Vecchio continente non si sta con le mani in mano. L’Unione Europea, terrorizzata in particolare dagli attacchi micidiali dei sovranisti di Salvini & Co, replica con provvedimenti drastici suggerendo agli abitanti del Vecchio continente l’adozione di uno zainetto contenete indispensabili strumenti di sopravvivenza fra i quali torcia elettrica, batterie di scorta per lo smartphone, barrette energetiche e coltellino svizzero multiuso. Non previsti (lacuna che va colmata al più presto) taglia unghie e stuzzicadenti. Comunque meglio essere preparati a tutto: si tratta di strumenti e generi alimentari che in caso di invasione, crisi energetica o strike nucleare possono tornare indispensabili. Infine, un poderoso sussulto d’orgoglio: Ursula von der Leyen ipotizza con categorico imperio (suo nonno pare fosse membro delle SS) l’imposizione di dazi accresciuti nei confronti delle merci Usa. Da non sottovalutare, in questo quadro, il ruolo dell’Italia visto che il Paese a stelle e strisce, a causa dell’epidemia di aviaria che sta decimando i polli yankee, ha un disperato bisogno di uova. E noi, figli di Enotria (ma il settore vinicolo nostrano rischia parecchio) ne produciamo 12,2 miliardi l’anno.
Fra gli effetti collaterali della crisi dei dazi c’è anche la calata di un sipario opaco sul Vecchio continente, grazie all’azione dell’uomo che occupa lo studio ovale e che vorrebbe appropriarsi manu militari anche di Canada e Groenlandia. La guerra in Ucraina dove missili e droni russi continuano a mietere vittime anche fra la popolazione civile è pressoché scomparsa dai radar. Dell’aggressione militare russa all’antica Rus dei Vareghi medievali arrivati a Kyiv attorno al secolo XII, solcando con i drekar, spinti da rematori guerrieri, le acque del Dniepr, esiste ormai solo qualche flebile traccia residua sui piccoli schermi e sulla stampa. Tutto è relegato, insieme al conflitto israelo palestinese, in secondo o terzo piano. Anche se nella Striscia di Gaza i morti si contano a decine di migliaia. Anche se dopo quasi 19 messi di stragi, il rapporto fra le vittime delle due parti in conflitto è di uno a venti o uno a trenta. Anche se si spara sui convogli di ambulanze e, mezz’ora più tardi, si spara sui soccorritori.
Anche se l’altro giorno decine di droni sono piombati su Kyiv seminando morte e distruzione. Solo la strage di Sumy ha ridestato l’attenzione dei media nostrani. Ci sono voluti però due missili balistici russi armati con bombe a grappolo (mr. Putin, dove stanno i terroristi?) che hanno ucciso ieri, 13 aprile 2025, domenica delle Palme, decine di persone a Sumy, nell’omonimo oblast, mentre stavano per recarsi in chiesa per celebrare la ricorrenza religiosa. E il pugno duro della Casa bianca minacciato con toni roboanti un paio di settimane fa, si è trasformato davvero in una carezza sul volto sferoidale di Putin? E mister President non avrebbe dovuto far terminare la guerra nel giro di quindici giorni? Non aveva promesso di sostituire in pochi giorni alla diplomazia delle armi le armi della diplomazia?
Intanto il/la nostrǝ (niente differenze di genere. Viva la schwa!) presidentǝ sta preparandosi a volare Oltreoceano per “dialogare” con The Donald (il quale, per descrivere questi casi, è solito usare un’espressione meno politicamente corretta). Nella speranza nazional sovranista di ottenere un trattamento di favore per l’Italia in cambio di chissà cosa: uova a buon prezzo? Polli ruspanti? Aria pura della Garbatella?
Nel frattempo fra le due sponde dell’Oceano, grazie alle centinaia di ordini esecutivi ad effetto immediato adottati da Trump con la gigantesca firma piena di “picchi” schizofrenici come il tracciato sismografico del terremoto in Myanmar, le borse planetarie hanno visto affondare negli abissi almeno 10mila miliardi (dollari o euro non fa molta differenza). Solo la crisi delle Torri gemelle era riuscita a tanto.
Una cosa è certa: il libero scambio sul pianeta Terra, dopo questa “energica” terapia trumpiana, avrà bisogno di lunghe sedute di fisioterapia globale. Temo però che si rivelerà necessario anche un intenso (e costosissimo) trattamento psicoterapico per alcuni dei protagonisti di questa demenziale tragicommedia universale. Dazi acidi, insomma.
ELIO SPADA