Dalle 7.35 di lunedì 21 aprile 2025, il mondo ha un pastore in meno. E un vuoto in più. Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio nato a Buenos Aires nel 1936, eletto il 13 marzo 2013 come 266º papa della Chiesa cattolica è tornato, i fedeli ne sono convinti, alla “Casa del Padre” dopo 12 anni di instancabile attività pastorale.
Con uno sguardo attento e onnipresente alla sofferenza degli ultimi, dei diseredati. Pastore, certo, di anime e, forse soprattutto, di esseri umani in carne ed ossa. Di uomini e donne composti inestricabilmente di spirito e materia. Gravati da una carne spesso portatrice di dolore e di cattiveria, di angoscia e di prevaricazione in un mondo nel quale, ha scritto Bergoglio nell’enciclica Evangelii gaudium “non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri”. Il gesuita argentino, divenuto pontefice e fattosi francescano nel nome e nel magistero, ha operato senza sosta per il rinnovamento di quella ecclesia nella cui gerarchia ha anche liberato uno spazio concreto per ruoli di responsabilità creati nella Curia Romana, con l’introduzione di laici e, soprattutto, donne in ruoli di responsabilità nei Dicasteri e nel Governatorato della Città del Vaticano.
Per la profonda vocazione riformatrice del vescovo di Roma, cui la malattia ha concesso solo pochi mesi, l’altra metà del cielo non sopporta più, sola, l’evento capitale del primo e più grave peccato. Madonna è tornata ad essere donna.
Ricordate? “Misericordia voglio, non sacrificio” (Matteo 9, 13 – 12,7; Osea 6,6). Il magistero di Papa Francesco si è sempre mosso, in umile sobrietà, senza mai perdere di vista questo inamovibile plinto pastorale, nella continua ricerca di quella sequela Christi, umanamente irrealizzabile ma sempre perseguita anche nella condanna della guerra, di tutte le guerre. La voce dell’uomo “qui sibi nomen imposuit Francesco”, appellativo scelto con ineguagliabile coraggio evocando la primazia di un nome scomodissimo ed estremamente impegnativo, è echeggiata potente per tutta la durata del pontificato bergogliano, ovunque se ne presentasse l’occasione.
Vox clamantis in deserto, tuonava Giovanni. Nessuna guerra è infatti cessata per gli appelli accorati di Papa Francesco I; nessuna strage è stata evitata: l’uomo, noi, tutti noi, siamo davvero incapaci di perdonare? Non settanta volte sette, ma una sola volta, ne basterebbe una soltanto. Le parole, che la modernità ha svuotato di ogni contenuto, non servono più? Bergoglio non ha aveva dubbi: “non diamoci mai per vinti, accada quel che accada.” Un incitamento che il gesuita che volle farsi francescano, ha diffuso instancabile in tutto il mondo, facendosi a sua volta migrante. Parole durissime, perché semplici e da tutti comprensibili, che denunciano il dramma delle moderne migrazioni; il dramma dei corpi senza vita seminati lungo le spiagge di Lampedusa, nelle acque di Cutro, sepolti nelle sabbie profonde del mare nostrum.
Adesso Papa Francesco non c’è più. Il vuoto verrà fisicamente colmato. Un nuovo Vicario di Cristo occuperà la cattedra di San Pietro. Un altro pontefice infilerà all’anulare destro l’anello piscatorio. Nell’anno giubilare 2025 verrà annunciato, urbi et orbi, l’avvento di Francesco II? Qualsiasi nome sceglierà, il nuovo pontefice e Santa Romana Chiesa erediteranno un mondo politicamente ed evangelicamente difficile. Rimaniamo intanto, laicamente, in ’attesa di “nuovi cieli e una nuova terra”.
ELIO SPADA
